Una Manovra a Lieto Fine
Nel recente post “Cosa si può fare per rendere più sicuro un ormeggio?”, avevo anticipato che avrei riproposto un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Secolo XIX”.
Si tratta del racconto di un episodio accaduto due anni fa che, nella sua criticità, ha mostrato i limiti oggettivi di sicurezza degli ormeggi di navi di grandi dimensioni. Lo studio del caso, e l’analisi delle possibili migliorie, hanno permesso di intervenire modificando arredi di banchina e procedure (così come descritto qui).
“Ascoltando la gente parlare di eventi che avvengono in mare, anche se, in questo caso, proprio sotto le finestre delle case dei genovesi, mi rendo conto di quanto sia sconosciuta la professione del Pilota portuale.
La colpa è soprattutto nostra.
E’ nostra perché viviamo in un “mondo” a parte, perché siamo “terrestri” pur restando marittimi, perché lavoriamo in equilibrio tra efficienza e sicurezza, ma anche tra coraggio e cautela, tra presenza di spirito ed emozioni forti, tra le parole “lo faccio, o non lo faccio?”, seguite da decisioni prese in un secondo.
E’ nostra perché diamo per scontato che chi ci guarda dalla finestra capisce cosa c’è dietro al movimento di una nave all’interno di un porto.
Voglio usare l’ultima, in ordine cronologico, “avventura” piuttosto eclatante discussa sulle banchine del nostro porto e riportata su molti quotidiani, ma questa volta la voglio raccontare dal “Ponte di Comando”, usando un linguaggio pratico, diretto, marinaro.
Il telefono è squillato intorno alle 23:00, e una voce ferma e decisa mi ha avvisato che la nave Cosco Africa, lunga 349 metri e di 114000 tonnellate di stazza lorda ormeggiata nel porto di Pra-Voltri, stava strappando i cavi che la tenevano ormeggiata in banchina a causa del forte vento di Tramontana. Dall’altra parte del telefono c’era Angelo Simi De Burgis, il collega in servizio nella zona di ponente. Quella telefonata ha fatto scattare delle procedure d’emergenza, procedure scritte sulla pelle di decine di migliaia di manovre, molte di routine ma tante altre estreme. Un minuto di telefonata mi ha permesso di capire la gravità della situazione, il grado di controllo e la preparazione alla gestione di un evento che avrebbe potuto avere conseguenze disastrose.
Il tempo trascorso in macchina per raggiungere la pilotina a Multedo, è servito a raccogliere tutte le informazioni possibili, ascoltando la sala Operativa dell’Autorità Marittima, la nostra Sede Operativa e quella dei rimorchiatori. L’ingranaggio, molto ben oliato, stava girando in modo perfetto. Nel frattempo Angelo era salito sulla nave e cercava di gestire la situazione: la nave aveva strappato tutti i cavi che la tenevano ormeggiata e, in quel momento, due ancore con due lunghezze di catena ciascuna e tre rimorchiatori a spingere agguantavano la “Cosco Africa” a circa 70 metri dalla “Costa Concordia”.
Nel frattempo gli ormeggiatori ci avvisano che anche la nave MSC Vienna si sta allargando dalla banchina rischiando di strappare i cavi. Decido di imbarcare sulla MSC. Una volta raggiunto il Ponte di Comando dispongo per filare due lunghezze in acqua per essere pronti sulle ancore, faccio preparare i cavi per rinforzare gli ormeggi e mi metto in contatto con l’Autorità Marittima, la quale mi informa che hanno predisposto l’invio di altri due rimorchiatori, uno previsto arrivare in dieci minuti, il secondo in venticinque.
Effettivamente il rimorchiatore America arriva puntuale e, quando comincia a spingere, riusciamo a recuperare sul vento, riportando la nave all’ormeggio.
A questo punto Angelo, con cui ero sempre in contatto radio, mi chiede di raggiungerlo immediatamente perché la situazione sta diventando ingestibile. Il vento supera tranquillamente i 50 nodi con raffiche a 60.
Raggiungo il collega sulla “Cosco Africa” e mi trovo di fronte a una situazione veramente delicata: il Comandante, di nazionalità cinese, è molto provato dalla situazione e appare decisamente agitato; la Costa Concordia si trova ormai a meno di 50 metri e continuiamo a perdere acqua soccombendo, di fatto, alla forza del vento. Di poppa abbiamo due rimorchiatori molto potenti che spingono a tutta forza.
Per non finire contro la Concordia decidiamo di mettere la macchina avanti per cercare, in estrema necessità, di affiancare la nave alla diga nel modo meno traumatico possibile. L’abilità di tutti, la sincronizzazione perfetta delle forze e una buona dose di fortuna, fanno rimontare la poppa al vento quel tanto che ci permette, una volta raggiunti dal quarto rimorchiatore predisposto dall’Autorità Marittima, di usare con decisione la macchina indietro e di riportarci, metro dopo metro, vicini al posto d’ormeggio.
A questo punto proviamo a riaffiancare la nave, ma raffiche di vento di incredibile violenza ci portano più volte pericolosamente vicino alle gru, per poi riallargarci dalla banchina.
La situazione è sempre più critica: il vento sembra aumentare di intensità, la nave si allontana di nuovo dalla banchina, non abbiamo più cavi a disposizione e gli avviamenti della macchina sono ormai agli sgoccioli.
E’ arrivato il momento del “lo faccio, o non lo faccio?”.
Mettetevi nei nostri panni: il vento freddo di Tramontana rende difficile anche soltanto lo stare in piedi sull’aletta del Ponte di Comando; il rischio di finire sulla Concordia o sulla diga è diventato quasi una certezza; resta da capire se la nave ce la farà a raggiungere la velocità necessaria per contrastare il vento e uscire dal porto o se, al contrario, vincerà lui.
Il secondo a disposizione è passato e i pochi avviamenti a disposizione hanno fatto da ago della bilancia.
“Rimorchiatori fermate la spinta!” – immediatamente la nave sente il vento e riprende ad allargarsi decisamente dalla banchina – “Comandante, avanti molto adagio!” – la macchina risponde decisa, ma gli interminabili minuti necessari a prendere velocità fanno scarrocciare il bestione di 350 metri in maniera impressionante – nel giro di una manciata di secondi passiamo dal Molto Adagio Avanti all’Avanti Tutta. Puntiamo la prua sul fanaletto rosso dell’imboccatura, ma la poppa continua a cadere. Gli ordini al timoniere vengono urlati, un po’ per superare il vento e un po’ per scuotere il Comandante seriamente preoccupato. La velocità aumenta e il controllo della nave migliora. Arriviamo ad affrontare il punto più stretto con una velocità di 14 nodi!
Impressionante anche per noi.
Passiamo a una quindicina di metri dal cemento del fanaletto rosso, dove accostiamo con il timone tutto a “dritta” per mettere la prua al vento. In quel momento la poppa è a venti metri dalla diga. All’ultimo momento mettiamo il timone tutto a sinistra per evitare l’impatto della poppa sul cemento che circonda il fanaletto verde dell’imboccatura.
Pochi minuti dopo siamo fuori. Diminuiamo la macchina, e con lei cala anche la tensione. Io e Angelo ci scambiamo lo stesso sguardo carico di soddisfatta energia che ha sottolineato altri momenti simili a questo.”
Ho iniziato l’articolo affermando che la gente di terra non conosce il lavoro del Pilota portuale. Un dato di fatto giustificato soprattutto dall’esiguo numero e dalla specificità del lavoro svolto.
In realtà ritengo giusto – e necessario – aggiungere che la gente di terra non conosce neppure il lavoro del Marittimo. In questo caso la cosa non è altrettanto comprensibile, visto che l’Italia si srotola su 8.000 chilometri di costa e che i marittimi fanno parte di un settore dai numeri importanti, sia sotto il profilo economico che di posti di lavoro.
E’ questo un argomento che merita ben più di poche righe in chiusura di pagina. Mi riprometto, per tanto, di affrontarlo con calma in un prossimo post.