Diga di Genova: thinking outside the box
La diga del porto di Genova!
Un argomento attuale, stimolante e coinvolgente.
L’aumento delle dimensioni delle navi, fenomeno noto come “Gigantismo navale” ha reso inadeguati molti porti italiani; le crescenti performance dei rimorchiatori portuali, gli ausili tecnologici alle manovre, le simulazioni e i limiti operativi studiati ad hoc per l’entrata di ogni singola nave destinata a un preciso ormeggio, non sono più accorgimenti sufficienti a risolvere questi problemi. (Ne abbiamo parlato in questo articolo.)
Nel caso del porto di Genova:
- il primo tema da affrontare è quello del bacino di evoluzione che, attualmente per le navi di grandi dimensioni, è posizionato in avamporto e ha un diametro di circa 550 metri;
- il secondo problema lo riscontriamo al terminal Bettolo. La recente costruzione di questa banchina permette (dando per scontata la realizzazione di un bacino di evoluzione e dragaggi adeguati) l’ormeggio delle portacontenitori di ultima generazione, ma lo spazio occupato, una volta affiancate, rende delicato, e a volte impossibile, il transito di altre navi nel canale di Sampierdarena;
- sebbene la fetta più grossa del mercato riguardi il settore dei contenitori, l’insufficienza di spazio coinvolge anche zone del porto che operano su altri rami merceologici; si avverte, ad esempio, una carenza di spazi anche tra le varie banchine a pettine di tutto il canale di Sampierdarena.
Nelle relazioni presentate sulla pagina “Quaderno degli attori”, predisposta dall’Autorità di Sistema, vengono evidenziati altri aspetti di estrema importanza e di difficile soluzione. Mi riferisco, per esempio, a quanto espresso da Assagenti quando sottolinea l’importanza del potenziamento della linea ferroviaria a scapito della movimentazione delle merci su gomma, al piano dei dragaggi e al consolidamento delle banchine. Così come del resto sottolineato da Confindustria: “riteniamo che la realizzazione della nuova diga deve essere inserita in un contesto di sviluppo più ampio che ricomprenda anche quello infrastrutturale lato “terra”. “Gronda di ponente”, “terzo valico”, “nodo ferroviario”, “opere di ultimo miglio” (soprattutto quelle ferroviarie, cd. piano del ferro in ambito portuale) devono essere realizzati/ultimati senza indugio per consentire, una volta realizzata la diga, la fuoriuscita delle merci dal porto e, soprattutto, di riequilibrare il rapporto tra traffico stradale e ferroviario e garantire un porto più sostenibile anche dal punto di vista trasportistico e ambientale. Gli scenari dei volumi di traffico ipotizzati a seguito della realizzazione della nuova diga impongono importanti investimenti infrastrutturali per un agevole afflusso/deflusso delle merci dal porto al fine di evitare anche commistioni con il traffico cittadino“.
Molti interventi, inoltre, pongono quesiti relativi all’ambiente, all’impatto sull’ecosistema marino, alla compatibilità tra porto e città, ecc.
Insomma, in concreto, decidere quale sia la strada migliore da seguire implica responsabilità oggettive enormi nei confronti degli sviluppi strategici dei commerci marittimi, della città di Genova a 360 gradi – economia, viabilità, posti di lavoro, ecc. -, del futuro di ogni singolo terminalista e, a catena, di tutte le persone che lavorano in porto e per il porto, senza dimenticare l’ambiente e la sicurezza.
È anche difficile, quando le variabili in gioco sono tante, centrare il segno al primo colpo, come è anche vero che la condivisione delle idee è costruttiva solo fino a un certo punto…
La raccolta di opinioni qualificate diverse, opportunamente vagliate da una mente aperta alla rivalutazione continua, è la strada più diretta per raggiungere un obiettivo così ambizioso.
Sono veramente poche, infatti, le persone che hanno tutti gli elementi, l’imparzialità e le competenze per decidere i giusti compromessi.
È quindi con spirito propositivo che devono essere giudicati gli interventi, anche perché spesso propongono spunti interessanti dal punto di vista tecnico progettuale. Tra quelli che mi hanno colpito per le soluzioni contemplate, ad esempio, cito lo studio dell’Ing. Guido Barbazza, Executive di Wärtsilä Italia, scaturito – come egli stesso afferma – da valutazioni di tipo “thinking outside the box”.
In particolare ho trovato interessante la creazione di nuove aree operative ottenute sfruttando la “penisola portuale”, piuttosto che il mero spostamento della diga (vedi foto sopra). Addossata al lato nord della nuova diga foranea, che è prevista essere collegata alla terraferma tramite un ponte innestato sul parco ferroviario di GE-Sestri Ponente (attraverso il collegamento su rotaie al servizio dello Stabilimento ILVA di Cornigliano) e su gomma al raccordo autostradale di Genova-Aeroporto. Quest’ultimo servirebbe a decongestionare, o quantomeno a non sovraccaricare ulteriormente, il nodo di Sampierdarena e lo svincolo di GE-Ovest. Buona anche l’idea di sfruttare il naturale sviluppo dei fondali antistanti il porto per realizzare le opere marittime su batimetriche più basse, in modo da ridurre i costi e i tempi di realizzazione.
Con questa impostazione sarebbe eventualmente possibile, in futuro, creare importanti aree con relativi accosti su alti fondali, favorire l’espansione delle attività già presenti nel Bacino Portuale di Sampierdarena, la rilocalizzazione di accosti e depositi petrolchimici, il rifornimento delle navi a GNL ed eventuali nuove attività risultanti dallo sviluppo del settore marittimo-portuale.
Dal punto di vista della manovra navale in porto, trovo adeguato l’ampio bacino di evoluzione in avamporto e gli spazi disponibili nel canale di Sampierdarena. L’eventuale onda di scirocco, e la relativa risacca, potrebbero essere ulteriormente mitigati utilizzando tetrapodi in punti strategici (per rompere la corsa delle onde sulla diga) e variando leggermente il layout dell’imboccatura di levante.
I dubbi e le domande sono tante e spaziano dall’inadeguatezza del retroporto alla viabilità, dal rapporto costi/benefici alla equa distribuzione dei vantaggi, dall’apertura del progetto a sviluppi futuri alla scelta delle priorità d’intervento.
Qualcuno starà pensando che è un po’ tardi per le considerazioni…
Può darsi, ma se penso a tutti i progetti dati per “definitivi” negli ultimi decenni e poi bocciati, riproposti e mai portati a compimento (vedi Torre Piloti di cui parliamo qui), mi viene da pensare che – probabilmente – siamo ancora agli inizi.
P.S.
Alcune pagine del progetto sono visibili sul sito dell’Autorità di Sistema nella sezione dedicata al dibattito pubblico sulla diga foranea del porto di Genova (qui), che consiglio di visitare anche per approfondire i punti menzionati e valutare le priorità delle singole realtà coinvolte.
Ho avuto il piacere di approfondire alcuni punti del progetto “Wild card” parlando con l’Ing. Barbazza e, trovando interessante la visione generale, ho chiesto di poter pubblicare lo studio per intero. Torneremo prossimamente sull’argomento.
2 Commenti
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Davvero interessante. In merito al deposito di sedimenti fluviali provenienti da Bisagno e Polcevera ci sarebbero variazioni degne di nota nelle varie configurazioni ipotizzate?
I sedimenti provenienti dai due fiumi sono sempre stati un problema da gestire. Non mi voglio addentrare in un argomento che non rientra nelle mie competenze, ma qualche commento a riguardo lo trovi nei vari interventi presenti nel “quaderno degli attori” sul sito dell’AdSP. A naso direi che non dovrebbero esserci stravolgimenti particolari, anche se l’aumento dei pescaggi previsto per le navi di ultima generazione comporteranno una programmazione dei dragaggi di non poco conto. In merito ai fondali, avrei forse valutato la possibilità di allungare la Bettolo verso sud, una volta demolita la diga. Questo avrebbe permesso di rinforzare la banchina per sostenere il peso delle gru più grandi e di usufruire di ormeggi su fondali maggiori.